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moltitudini

Abbiamo scritto L'anti-Edipo in due. Poichè ciascuno di noi era parecchi, si trattava già di molta gente. Qui abbiamo utilizzato tutto quello che ci avvicinanva, il più vicino e il più lontano. Abbiamo distribuito abili pseudonimi per rendere irriconoscibile. Perché abbiamo conservato i nostri nomi? Per abitudine, unicamente per abitudine. Per renderci a nostra volta irriconoscibili. Per rendere impercettibile, non tanto noi stessi, ma ciò che ci fa agire, sentire o pensare. E poi perché è piacevole parlare come tutti, dire sorge il sole, quando ognuno sa che è soltanto un modo di dire. Non arrivare al punto in cui non si dice più io, ma al punto in cui non ha alcuna importanza dire o non dire io. Non siamo più noi stessi. Ognuno riconoscerà i suoi. Siamo stati aiutati, aspirati, moltiplicati.

Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille piani

 

 

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to witness the passing of these years.

 

Hood, The lost you

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a quanto racconta Canetti nel suo libro su Kafka, il più grande scrittore del XX secolo capì che i dadi erano gettati, e che ormai nulla lo separava dalla scrittura il giorno in cui per la prima volta sputò sangue. Che cosa voglio dire quando dico che ormai nulla lo separava dalla scrittura? Sinceramente, non lo so molto bene. Immagino di voler dire questo: Kafka capiva che i viaggi, il sesso e i libri sono vie che non portano da nessuna parte, eppure sono vie lungo le quali bisogna inoltrarsi e perdersi per ritrovarsi o per trovare qualcosa, qualunque cosa, un libro, un gesto, un oggetto perduto, per trovare un metodo, se si ha un po’ di fortuna: il nuovo, quello che è sempre stato lì.

 

Roberto Bolaño, Letteratura + malattia = malattia

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l'erba esiste soltanto fra i grandi spazi non coltivati. Colma i vuoti. Cresce nel mezzo - fra le altre cose. Il fiore è bello, il cavolo è utile, il papavero rende folli. Ma l'erba è traboccamento, è una lezione di morale.

 

Henry Miller, Lettere su Amleto

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